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Trento, 20 agosto 2006
LE CELLE DELL’AMORE
Boato rilancia una vecchia proposta «Occorre tutelare il diritto all’affettività»
da l’Adige di domenica 20 agosto 2006

Ventiquattro ore al mese di totale intimità, lontano da occhi e orecchi indiscreti. Per chi non è stato graziato dall’indulto e deve restare in carcere arriva la «cella dell’amore». Nessuna limitazione per quanto riguarda le persone che possono varcare la soglia del penitenziario, valgono le stesse regole dei «colloqui ordinari».

A lanciare l’idea è Marco Boato che lo scorso 28 aprile ha ripresentato una proposta di legge, insieme a Enrico Buemi (Rnp), Ruggero Ruggeri (Ulivo) e la collega di partito Paola Balducci. Le visite «si svolgono in locali adibiti o realizzati ad hoc senza controlli visivi e auditivi» con l’obiettivo esplicito di «garantire la riservatezza» e possono andare da un minimo di sei ore a un massimo di un giorno.

In più, «per i condannati che hanno tenuto regolare condotta» permesso extra di ben dieci giorni per ogni sei mesi di carcerazione.

Mogli, conviventi, familiari ma anche semplicemente persone con le quali vi sia «un legame affettivo» coloro che possono condividere queste parentesi. Obiettivo numero uno è infatti tutelare il «diritto all’affettività», si spiega nella relazione introduttiva: sessualità dunque, ma anche «amicizia e rapporti familiari» le categorie che il legislatore vuole difendere. «La detenzione carceraria - scrive Boato – consiste nella privazione della libertà, ma non deve comportare anche la privazione della dignità delle persone».

Sono in tutto quattro gli articoli della proposta di legge e puntano a modificare l’ordinamento penitenziario che risale al 1975 e alla cui riforma si è già tentato di mettere mano due legislature fa, con «lo stralcio delle misure più innovative» proprio «in materia di affettività» a causa del parere negativo del Consiglio di Stato. Uno stop, quello dovuto al no del Consiglio di Stato, che ha fatto sì che l’Italia restasse indietro rispetto a altri Paesi Europei, sottolinea Boato, secondo il quale il vero rischio è creare «una patologia del nostro sistema sociale e dello Stato di diritto».

Privacy ma non solo. Dei quattro articoli, due prevedono anche che i cosiddetti permessi di necessità non siano concessi solo in caso di lutti o malattie gravissime dei familiari e la possibilità per ogni colloquio ordinario mancato la sostituzione con uno telefonico della «durata almeno di quindici minuti».
 

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